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PERCHÉ SONO UNO STREEPHER

(street + photographer = streepher)

 

La Strada! La odio e la amo con la medesima intensità. È da lì che provengo. Ed è lì che, alla fine, ritorno. Il mio imprinting con la strada fu abbastanza traumatico. Erano gli anni '70 e la periferia di Roma era misera e pericolosa. Tutto quanto puzzava di muffa, eroina e scippi. Quando iniziai a scendere sotto casa, ero poco più che undicenne e la prima cosa di cui mi resi subito conto fu che il quartiere Labicano era "infestato dai Cacacazzi" (così li chiamavo): bulletti da quattro soldi, tra i 15 e i 18 anni, mezzi tossici. Non che io fossi il principe ereditario di Inghilterra, intendiamoci! Semplicemente ero e mi sentivo diverso da loro. E infatti, ogni volta che mi avvistavano, i Cacacazzi venivano a prendermi a calci e pugni, ricoprendomi di insulti. Così, senza nessun motivo. Nei giorni più fortunati si limitavano a riempirmi di sputi. E se ne andavano via ridendo, lasciandomi addosso le cicatrici dell'umiliazione. Ma io non scappavo mai, scorgendoli. Riconoscevo la loro squallida rabbia e sapevo per istinto che l'avrei soltanto fatta crescere, nel tentativo di sottrarmi ad essa. Oltretutto, se poi fossero riusciti ANCHE ad acchiapparmi, sarebbe stato ancora più umiliante. Mica sono Forrest!

Fu un periodo Orribile durante il quale non dissi mai nulla a casa. Mi vergognavo troppo. Mio padre mi avrebbe giudicato un debole. Sapeva usare bene le mani, lui!

Ora che ci penso: perché la gente che passava di lì, vedendo quello che mi stavano facendo quei cacacazzi, non ha mai mosso un dito o detto una parola per farli smettere? Umiliante, in certi frangenti, lo è anche il ruolo dello spettatore. 

 

Ricordo che, durante le medie, quando stavamo studiando la teoria dell'evoluzione, mi ero soffermato a fantasticare sulla specie che ritenevo più rappresentativa: le giraffe. Le avevo immaginate inizialmente col collo corto, come le zebre. Nel corso dei secoli, per sopravvivere, si erano forzate ad allungarlo per mangiare le foglie dei rami più alti. Insomma avevo miscelato le varie teorie per crearne una tutta mia, piuttosto "gommosa". Solo da adulto, ritornandoci ogni tanto col pensiero, avevo rielaborato quelle teorie: alcune giraffe, nate "per sbaglio" con il collo più lungo, erano sopravvissute alle giraffe col collo più corto perché avevano raggiunto più cibo! Tramandando geneticamente questa "anomalia", avevano contribuito in modo determinante alla sopravvivenza della loro specie. Così sono giunto a una banale conclusione: l'Evoluzione è figlia della Diversità. Essere Diversi è fico, caxo! Vaffanculo, va!!!

Fare il cantante di strada fu una sorta di rivincita con me stesso: erano gli anni '90 e il centro storico di Roma non era né misero né pericoloso. Mi ci volle comunque una grossa dose di coraggio per esibirmi ogni giorno davanti a tutta quella gente a passeggio, che spesso mi trattava come un mendicante. Nel frattempo, vedendo quotidianamente così tanti passanti, affinavo la mia capacità di osservazione. Alcuni avrei voluto fotografarli, solo che ancora non lo sapevo. 

Questa bellissima parentesi un po' bohémien durò più di tre anni. Mille giorni di musica e libertà.

È passato tanto tempo, da allora. Decenni. I miei capelli sono ormai grigi e le mie dita non saprebbero più muoversi, veloci come ragni, lungo il manico di una chitarra. Anche a causa del freddo e dell'umidità a cui le ho esposte. Ma scelgo di nuovo la Strada per immergere le mani nella sua linfa vitale. Stavolta per immortalarla, la gente. Sì perché, in fondo, la strada È la gente. E la gente è la Vita. Cosa c'è di più bello?

Riuscire a cogliere quelle piccole sfumature della quotidianità che sanno trasformare l'ordinario in straordinario: è questa la sfida. Uno sguardo, un gesto, un'espressione. Nessun uomo è un'isola? Io non credo! Direi, anzi, che è vero il contrario. E ogni volta che navigo tra questi arcipelaghi di anime, rimango ammaliato dalla varietà dei microclimi. Immagino di attraversarli con un sommergibile. La fotocamera è il mio periscopio. A ogni foto che scatto, è come se prendessi un fermo immagine dall'ipotetico film che sto girando nella mia mente. Quanti personaggi principali in migliaia di sceneggiature per milioni di lungometraggi che non vedrò mai...

Vorrei abbracciarli forte, i miei protagonisti, dir loro che andrà tutto bene... o sentirmelo dire.


– Sapeva leggere, Novecento. Non i libri, quelli sono buoni tutti. Sapeva leggere la gente, i segni che la gente si porta addosso. Posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia... tutta scritta addosso. Lui leggeva e, con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava, in quella immensa mappa che stava disegnandosi in testa. Il mondo magari non l'aveva visto mai, ma erano quasi trent'anni che il mondo passava su quella nave. Ed erano quasi trent'anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l'anima. –


Tratto dal film La leggenda del pianista sull'oceano di Giuseppe Tornatore


La Gente: un insieme di individui di cui, in fondo, ho paura. Temo la loro stupidità come temo la mia. Perché la stupidità può uccidere. Sa essere bieca e malevola, la gente, e il più delle volte è grigia. Quando sto tra la folla, io sono la gente: giudico, scanso, tralascio…  e scappo via colpevole. Ma, tra quella stessa folla, ogni tanto mi capita di notare persone che non sembrano affatto grigie. Alcune sono verdi, qualcun'altra è blu oppure rossa, nonostante tutto, ed io sento il bisogno di catturarla in un'immagine per dimostrarlo.
Guardare la gente, quando nessuno si accorge di te, è come assistere allo spettacolo pirotecnico della spontaneità. Pare quasi di trovarsi in una scuola dell'infanzia, tra decine di bambini che giocano e interagiscono tra di loro. Eh sì, gli occhi dei fanciulli sono davvero lo specchio dell'anima perché non hanno filtri. Come le espressioni degli adulti assorti nei loro pensieri, presi dalle proprie faccende. Mi immergo nella folla con la fotocamera sempre appesa al collo, pronta allo scatto. Operai, avvocatesse, segretari, professoresse, studenti, capotreno, turisti, poliziotte, macchinisti... Cammino tra queste persone osservandole attentamente: sembra che abbiano trovato, tutti, il proprio posto nel mondo. Tutti, tranne me. E mi domando: il mio ruolo è forse quello di congelare le loro verità per consegnarle a chi ancora non c'è? Perché è questo che fanno gli streephers, dopotutto.

 

Ogni vita è una moltitudine di giorni, uno dopo l’altro. Noi camminiamo attraverso noi stessi, incontrando ladroni, spettri, giganti, vecchi, giovani, mogli, vedove,  fratelli adulterini, ma sempre incontrando noi stessi. (James Joice)

La Fotografia è l'arte contemporanea che più spesso mi ha lasciato a bocca aperta, in tutti i suoi generi. Dalla Macro, che mi ha fatto scoprire nuove galassie; alla Glamour, che ha saputo ubriacarmi; fino all'Astrofotografia, che mi ha fatto tornare coi piedi per terra. Ma è soltanto attraverso la Street Photography che ho ritrovato me stesso.

Ho da poco coniato un neologismo, perfetto per il genere di foto che amo scattare: AviSapiens (da avifauna :-))

Qualche anno fa, mia moglie ed io, abbiamo deciso di trasferirci in provincia. E così ho iniziato a fare il pendolare. La stazione ferroviaria, immenso crocevia di individui di tutte le etnie e nazionalità, è diventata man mano la mia riserva di caccia. In questa affascinante terra di nessuno si intrecciano così tante storie, ogni giorno, che meriterebbero di essere tutte quante raccontate. Credo che, fotografarle, sia un modo per far girare il Tempo dall'altra parte e, in quell'infinito istante, accarezzare di nascosto l'Eternità. 

Tu non scatti solo una fotografia, con la tua macchina fotografica. Tu ci metti dentro tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai ascoltato, le persone che hai amato. (Ansel Adams)

 

A differenza di alcuni streephers, che escono di casa appositamente per fare Street e, come pescatori di fiume, hanno la pazienza di appostarsi per ore aspettando il momento giusto, io non cerco le immagini che poi catturo. Sono le foto a venirmi incontro mentre cammino per andare a lavorare. Serendipity... Dedico alla Fotografia quel piccolo ritaglio di tempo che va da quando scendo dal treno a quando entro in metropolitana (e viceversa, durante il ritorno verso casa). Ma la mia giornata si concentra tutta in quel breve, prezioso, incredibile quarto d'ora. Mi piace pensare che sia il destino a farmi passare di lì in quel preciso istante. Essere nel posto giusto al momento giusto: ecco la Magia! La verità è che, scovare la bellezza tra le pieghe del quotidiano, mi fa stare meglio e "mi riconcilia con il mio sacro poco"Yanagihara ha scritto che per fare questo genere di foto bisogna entrare volontariamente in un mondo solitario, perché è un esercizio artistico di invisibilità. Ho compreso bene cosa intendesse dire perché, quando passo per la stazione, io mi azzero completamente. Devo farlo! È la condizione necessaria e sufficiente ad entrare in una dimensione parallela nella quale non mi è concesso apparire, se voglio restare, e dove ogni secondo è composto da infiniti attimi. Là c’è tutto il tempo che serve ad accorgersi delle persone, guardarle e sentirle respirare. 

Di solito ci si sforza, chi più chi meno, di piacere, di essere belli per gli altri, senza immaginare che siamo più belli quando non cerchiamo di esserlo. Ed è per questo che io scatto: per fermare, prima che svanisca, l'infinita magnificenza dell’inconsapevole.

- Io, in genere, guardo... finché qualcosa non mi colpisce. In sostanza io osservo. Hai mai guardato qualcuno che non sa di essere osservato? Una vecchia signora seduta sull'autobus, dei ragazzini che vanno a scuola o qualcuno che sta lì che aspetta... e vedi un lampo che gli arriva addosso. E capisci immediatamente che non ha niente a che vedere con qualcosa di esterno, perché intorno non è cambiato nulla. E quando vedi il lampo, quelle persone diventano più reali. Insomma, se guardi qualcuno abbastanza a lungo, scopri la sua umanità... -

 

Tratto dal film Qualcosa è cambiato di James L. Brooks

Rimango spesso catturato dalla bellezza di alcune modelle e dalla bravura dei loro fotografi. Saper tradurre quella fisicità in elegante innocenza, complice malizia o vitale sensualità, la ritengo un'appassionante forma d'arte. Ho provato anch'io, un paio di volte. Ma è un genere fotografico che entra in conflitto con la mia necessità di passare inosservato per rubare quella spontaneità di cui ho tanto bisogno. Non riesco a dire "sei fantastica" a ogni scatto, indicando la posa da assumere o l'espressione da mimare. Sarebbe come suggerire al proprio partner: - vorrei che adesso mi sussurrassi "ti amo" di tua spontanea volontà -.

Dovrei tentare un approccio più intimo con la modella, seguirla nella sua quotidianità e fotografarla quando meno se lo aspetta. Ma è davvero troppo, per una persona riservata come me. Insomma, sono incastrato. Dovrò prendere il treno anche quando non ne avrò più bisogno, se vorrò ancora rubare le istantanee che piacciono a me!

I sognatori li riconosci: sono quelli che si siedono dalla parte del finestrino. (Saul Leiter)

Una sola vita non è sufficiente. Lo percepisco chiaramente quando viaggio, appunto, in treno e guardo fuori dal finestrino: campi arati, solchi di grano, tralicci, case rurali, greggi. Centri abitati, ruderi, fiumi, stradine di campagna. Capannoni, piccole centrali elettriche, grandi parcheggi vuoti. Lunghe gallerie buie. Cantieri, cave, scheletri di palazzine mai ultimate. Treni spaventosi che sfrecciano in senso contrario. Rimesse di caravan, campi sportivi, sfasciacarrozze. Una vita sola non mi basta. Vorrei scendere dal treno ogni volta che cambia il panorama. Conoscere le persone che, quel panorama, lo respirano tutti i giorni… e fotografarle mentre lo fanno. Fermarmi in quei luoghi per un mese, un anno o quanto mi pare per poi riprendere il viaggio. Questo sì che sarebbe un bel modo di vivere, se ne avessi il coraggio!

La vita è fatta di treni che ci chiudono le porte in faccia e se ne vanno senza di noi, lasciandoci dentro il sapore amaro di come sarebbe stato salirci. E di treni sui quali saliamo, nostro malgrado, per paura che la vita ci lasci a piedi. (Giorgio Faletti)

Adoro l'atmosfera degli ambienti ferroviari e credo che l'amerò sempre, anche quando finalmente riuscirò a smettere di fare il pendolare. Sono certo che un giorno tutto questo mi mancherà.
Ho provato, talvolta, a lasciare la fotocamera a casa. Un po' per andare più leggero e un po' per non farla diventare un'abitudine. Ma, non appena scendevo gli scalini del treno, mi assaliva una spiacevole sensazione di disagio. Era come se avessi perso il mio super potere. La mia coperta di Linus. Camminavo senza guardarmi attorno per paura di vedere, e non poter immortalare, la Foto della mia vita. Quella che non farò mai. Infatti, uno dei miei libri preferiti è Narciso e Boccadoro, di Hermann Hesse. Piansi a dirotto, mentre leggevo l'ultima pagina.

Diventare anziani è una grande conquista, lo so. Ma trascina con sé un pesante fardello: l'incomprensibile maleficio che si abbatte su miliardi di giovani e li imprigiona in corpi stanchi, cagionevoli, traballanti. Nessuno sa il perché. E della loro freschezza, di quell'incoscienza di un tempo, così (im)perfetto, rimane soltanto qualche foto scolorita, abbandonata in fondo ad un cassetto… che nessuno aprirà più. 

 

– I vecchi sogni erano bei sogni. Non si sono avverati. Comunque… li ho avuti. –

Tratto dal film I Ponti di Madison County di Clint Eastwood

 

La vita è quell'insegnante sadica che prima ti fa l'esame e poi ti spiega la lezione. Woody Allen, a un giornalista che gli aveva chiesto cosa ne pensasse della morte, rispose: “Non ho cambiato idea. Sono decisamente contrario”. Siamo trogloditi, è questa la verità. Perché la vecchiaia è solamente una malattia per la quale ancora non esiste una terapia e, per digerirla, filosofeggiamo sul vero senso dell'Esistenza dopo esserci ingozzati di dogmi riguardo quello che troveremo alla fine del tunnel.


– Com'è tragico - mormorò Dorian Gray, gli occhi fissi sul suo ritratto - com'è tragico! Io diventerò vecchio, brutto, ripugnante. E questa immagine rimarrà sempre giovane. Giovane quale io sono in questa giornata di giugno. Oh, se si potesse realizzare il contrario! Se fossi io a rimanere giovane, e il ritratto diventasse vecchio al mio posto! Per questo darei qualunque cosa! Darei la cosa più preziosa del mondo! Darei anche la mia anima per questo! –


Tratto dal romanzo Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde


Fosse stata una semplice fotografia, invece di un dipinto, per Dorian non avrebbe fatto alcuna differenza, ovviamente. Certo, a lui non interessava tanto l'immortalità quanto conservare il suo piacevole aspetto. Ma rimanere per sempre giovani può portare al medesimo risultato.

Penso che, il bisogno di immortalare l'attimo fuggente, sia intimamente connesso alla speranza di sopravvivere a noi stessi. Che sia un dipinto, una scultura o un brano musicale, resta comunque un grido di battaglia. Perché l'Arte è, nella sua massima espressione, la ribellione dell'Anima.

Nulla è in regalo, tutto è in prestito. Sono indebitata fino al collo. Sarò costretta a pagare per me con me stessa, a rendere la vita in cambio della vita. È troppo tardi per impugnare il contratto. Quanto devo mi sarà tolto con la pelle. Me ne vado per il mondo tra una folla di altri debitori. Su alcuni grava l'obbligo di pagare le ali. Altri dovranno, per amore o per forza, rendere conto delle foglie. L'inventario è preciso e a quanto pare ci toccherà restare con niente. Non riesco a ricordare dove, quando e perché ho permesso che aprissero questo conto a mio nome. La protesta contro di esso la chiamiamo "Anima". E questa è l'unica voce che manca nell'inventario. (Wislawa Szymborska)

Un bel dì verrà scoperta la cura per debellare questa terribile piaga, la vecchiaia, e dire "Ti amerò per sempre" avrà finalmente un senso. Inizieremo a esplorare lo spazio profondo e i personaggi principali di tutte quelle belle sceneggiature diverranno viaggiatori galattici che, su treni interstellari, navigheranno verso l'infinito… e oltre. Così, pianeta dopo pianeta, arriveranno fino a Dio per chiedergli come si chiami veramente. E non avranno bisogno di domandargli altro, perché nel significato del Suo nome ci sarà la spiegazione di tutto.


Io non ci credo, in Dio… e forse Lui se ne è accorto. –


Tratto dal film Philomena di Stephen Frears


Per fortuna, tra quella stessa folla di cui faccio parte mio malgrado, (r)esistono degli individui che non sembrano affatto grigi come me. Alcuni sono verdi, qualcun altro è rosso oppure blu. Nonostante tutto. Ed io sento, ogni giorno più forte, l'irrefrenabile desiderio di catturarli in una foto.

Perché sono uno streepher.

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