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L'invidia è un moto dell’anima tanto velenoso quanto inconfessabile: è la stretta che si prova quando si esce perdenti da un confronto sociale. Si sperimenta quando un altro ha qualcosa che noi vorremmo: oggetti, posizione sociale, o qualità come la bellezza o il successo in amore. È la sofferenza dovuta a un confronto perdente con qualcuno, in un campo che è importante per la persona. Può essere un’emozione, cioè la “stretta” provata quando si viene a sapere che un altro ci ha superato, o diventare un sentimento duraturo: uno stato di malessere e inadeguatezza, con malevolenza verso la persona invidiata.
Tutti la provano, per ciò che sta loro a cuore. - Dai ragazzi, verso il compagno che prende voti migliori o è fidanzato, agli anziani: in una ricerca condotta nelle case di riposo vari ospiti hanno confessato di invidiare chi riceve più visite da figli e nipoti - spiegava Valentina D’Urso, già docente di psicologia generale all’Università di Padova e autrice di Psicologia della gelosia e dell’invidia.
Se tutti la provano, quasi nessuno la confessa. È ammissibile farsi prendere dall’ira, crogiolarsi nella pigrizia o soffrire per gelosia, ma l'essere rosi dall’invidia no. - È l’emozione negativa più rifiutata, perché ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di essere inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto, ma in modo subdolo, considerato meschino - scriveva D’Urso sul suo libro.
L’invidia infatti spesso è caratterizzata dall’ostilità verso l’altro, dal desiderio di danneggiarlo (magari dietro le spalle con commenti denigratori) e di privarlo di ciò che lo rende... invidiabile. 
C'è un’altra caratteristica dell’invidia che la rende difficile da ammettere, persino a se stessi. Si prova soprattutto per chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza. Per una donna è bruciante il confronto con la conoscente bella e corteggiata, più che quello astratto e “sproporzionato” con una top model; si invidia il collega che è stato promosso, non il direttore generale.
Così, le persone che ci sono vicine e a cui vogliamo bene, come compagni di classe, colleghi, ma anche amici o fratelli, diventano spesso bersaglio d’invidia: l’uguaglianza di opportunità rende doloroso l’essere inferiori rispetto ai successi di un fratello o una sorella, in un campo importante per sé.
In più, l’invidia per le preferenze fatte dai genitori (come nel racconto biblico di Giuseppe, prediletto dal padre e poi venduto dai fratelli) si può mescolare alla gelosia per l’affetto dei genitori, che si teme di perdere.
Chi è invidioso, quindi, lancia tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile per il tuo successo e potrei anche farti del male. Così come Caino uccise Abele, i cui sacrifici erano più graditi da Dio.
Basti pensare a un esperimento condotto da Andrew Oswald, della University of Warwick (Gb), e Daniel Zizzo, della University of East Anglia (Gb): i partecipanti, con un gioco al computer, ottenevano differenti somme di denaro in modo casuale. Poi avevano la possibilità di bruciare i guadagni degli altri, visibili sullo schermo, restando anonimi ma sacrificando parte delle loro vincite.
E il 62% dei giocatori lo ha fatto, pagando fino a 25 centesimi per ogni euro bruciato, cioè perdendo soldi pur di annichilire la ricchezza altrui. Per invidia e risentimento verso guadagni ingiusti. Non solo gli svantaggiati colpivano i più ricchi e avvantaggiati dai bonus: i ricchi, sapendo che sarebbero stati bruciati, colpivano tutti per rappresaglia... Dal test è emerso, dicono gli autori, “il lato oscuro della natura umana”.
Ecco perché l’invidia è messa al bando e condannata dalla società: essa implica ostilità ed è socialmente distruttiva, perché la persona invidiosa è potenzialmente pericolosa. 
L’invidia è velenosa anche per chi la vive. - È spiacevole. Si provano senso di inadeguatezza e inferiorità. Si ha la sensazione che il vantaggio dell’altro non sia meritato, e questo crea frustrazione perché si pensa di non riuscire a ottenere la stessa cosa. Inoltre chi tende a essere invidioso rischia, invece di apprezzare le proprie abilità in senso assoluto, di valutarle solo se confrontate con quelle di altri che appaiono migliori: questo diminuisce l’autovalutazione - dice Smith.
Dolorosa per sé, potenzialmente pericolosa per gli altri. Perché allora proviamo questa emozione? Perché l’invidia è come la paura, che è sgradevole ma ci prepara a reagire a un pericolo. È un campanello d’allarme: ci avverte velocemente che siamo perdenti nel confronto sociale.
Nel corso dell’evoluzione pare si sia rivelata un beneficio: gli invidiosi, che giudicavano il loro successo sulla base di quello dei rivali, avrebbero investito più sforzi per raggiungere status e risorse; mentre i meno attenti sarebbero rimasti indietro, sfavoriti nella selezione naturale. 
Anche alcuni conseguenti comportamenti hanno una funzione precisa. Come il non ammettere l’invidia: se non si palesa al gruppo la propria posizione inferiore, si è più credibili nelle strategie nascoste di attacco mirate a diminuire lo status del rivale. Una di queste è parlarne male. Chi ascolterebbe qualcuno che “parla solo per invidia” dopo averlo ammesso? Nessuno.
- Questa emozione è una chiamata all’azione. O si cercano modi per “abbassare” una persona (è il caso dell’invidia “maligna”) o si lavora duro per alzarsi al suo livello (ed è quello che accade con una seconda forma di invidia, quella benigna, priva di sentimenti ostili) - dice Smith.
- L’invidia può essere benigna quando porta all’emulazione: in questo caso canalizza le energie per cercare di avere un bene o il riconoscimento che è stato dato ad altri. Insomma, è una spinta a metterci in moto: così facciamo appello alle nostre capacità per raggiungere quello stesso traguardo. Possono spingere all’emulazione, i modelli di persone “invidiabili” per cui si prova ammirazione, desiderando di essere come loro. E ci sono anche casi in cui la competizione è legittima, come nello sport: chi arriva secondo potrà invidiare chi l’ha superato, ma si allenerà per superarlo alla gara successiva - dice D’Urso. Se l’invidia segnala uno svantaggio, impegnarsi per recuperarlo è la migliore strategia per non rodersi.
Non solo. Questa spinta all’emulazione fa sì che l’invidia sia una delle basi… della società dei consumi: porta a desiderare i beni degli altri e a comprarli. Susan Matt, storica della Weber State University (Usa), sostiene che nei primi del ’900, nella società americana, l’invidia per i consumi che si potevano permettere solo i ricchi fu “sdoganata”: dapprima condannata, fu poi incoraggiata come legittima aspirazione della classe media e popolare, a cui erano ormai a disposizione i beni della produzione di massa.
Nell’ “invidia del consumatore” non si arriva alla malevolenza verso l’altro, ma all’acquisto di una borsa firmata o di uno smartphone. E il marketing alimenta l’invidia. I beni di consumo d’élite si basano sul fatto che sono esclusivi e chi li possiede è invidiato: e questa, contrariamente all’essere invidioso, è una caratteristica ambita. In fondo dire “Ti invidio per…” è un’espressione di ammirazione: ammessa, perché non si prova davvero questa emozione.
Ma all’invidia è collegato anche un piacere. Maligno, certo: è chiamato schadenfreude, ovvero la soddisfazione davanti alle disgrazie altrui. Se una crisi stronca un brillante rivale, se l’affascinante conoscente ha un problema... si può provare schadenfreude.
- Lo svantaggio dell’altro è il vantaggio per sé nel terreno della competizione sociale; l’inferiorità e la sua sgradevolezza possono così trasformarsi in superiorità e soddisfazione. Il dolore dell’invidia si riduce e si ha una sensazione piacevole. Infine si placa il senso di ingiustizia che spesso è parte dell’invidia: la sfortuna sembra meritata - spiega Smith.
Scatena schadenfreude anche il fatto che l’altro abbia meritato un castigo, finendo per esempio nei guai a causa di un comportamento che lui stesso aveva ipocritamente condannato. E anche le situazioni di rivalità tra gruppi, dove una perdita per gli altri è un guadagno per sé: le ricerche hanno evidenziato questa soddisfazione nei tifosi di calcio, per sconfitte della squadra rivale.
Uno degli studi di Richard Smith l’ha messa in luce nella politica: - Si prova schadenfreude per i problemi in cui inciampano i politici dei partiti rivali, dagli scandali sessuali alle gaffe. Tuttavia, soprattutto nelle campagne elettorali, si sperimenta soddisfazione anche per eventi che possono avere un peso per la sconfitta dell’avversario, benché si tratti di notizie negative per tutti: per esempio, cattivi risultati economici. Abbiamo rilevato schadenfreude soprattutto nei più coinvolti sostenitori di un partito, pur mescolato alla consapevolezza che i fatti fossero in sé negativi per tutta la popolazione -.

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Giovanna Camardo (Focus, 26 dicembre 2015)

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